Considerazioni personali su “Taccuini” di Sergej Dovlatov
“Taccuini” di Sergej Dovlatov, come fa intendere il titolo di questo libro, ha la struttura vera e propria di un taccuino. All’interno di possono leggere battute divertenti su vari argomenti, ma anche frasi riflessive che fanno appunto riflettere su vari temi della vita. Nonostante sia un libro particolare per me è stata una lettura sia divertente sia riflessiva.
Le frasi che mi sono piaciute
“Il principale conflitto della nostra epoca è tra personalità e piattezza”
“Il talento naturale è come un tesoro. Proprio per questo si teme di perderlo. Si ha paura che ce lo sottraggano. Si è angosciati che col tempo perda valore, ma anche di morire senza averlo speso.”
“Si giudica in base ai tratti del carattere, si condanna per le inclinazioni naturali.”
“La capacità di sbagliare è lo specchio del talento critico e il sintomo del lavorio su se stessi, del tentativo di migliorarsi.”
Prologo de “Taccuini” di Sergej Dovlatov
Parte prima
Solo per Underwood
1
Una volta mia madre era uscita di casa. Diluviava. Si era dimenticata a casa l’ombrello. Arrancava tra le pozzanghere. Ad un tratto le viene incontro un ubriaco, anche lui senza ombrello. Le grida:
Ehi, ehi, amica! Ma che fanno tutti quanti sotto l’ombrello come selvaggi?”
2
Il figlio dei nostri vicini era andato in vacanza in Ucraina. Tornato a casa, gli chiediamo:
L’hai imparato l’ucraino?
Sì
Dì qualcosa in Ucraino.
Beh, ad esempio, merci…
3
Il figlio dei nostri vicini:
Tra le verdure preferisco i ravioli…
4
Un giorno scendo a buttare la spazzatura. Fa troppo freddo e rovescio il secchio tre metri prima del cassonetto. Dopo circa un quarto d’ora, suona il portinaio. Mi urla di tutto. A quanto pare, dalla spazzatura si può facilmente risalire al proprietario e al numero dell’appartamento. Ogni professione ha i suoi risvolti creativi.
La trama de “Taccuini” di Sergej Dovlatov
Sergej Dovlatov, straordinario umorista leningradese di origine ebraico-armena, distingueva tra il narratore e lo scrittore. “Il narratore parla di come la gente vive, lo scrittore del motivo per il quale vivere.” Lui si sentiva un narratore. “Le cose divertenti Sergej non le inventava – scrisse di lui un amico – le trovava. Scovava l’umorismo esattamente nei luoghi in cui nessuno l’avrebbe cercato”. Fu costretto ad emigrare alla fine degli anni Settanta dall’Unione Sovietica per il suo atteggiamento anticonformista e per quello che scriveva (racconti clandestini sulla sua vita di letterato spiantato in giro tra i paradossi quotidiani di cui era contemporaneamente protagonista e narratore). Quando andò in esilio a New York non dovette cambiare di molto l’ispirazione del suo umorismo; i temi universali: l’uomo, l’assurdo, la grandezza poetica di chi resiste nel suo piccolo all’omologazione, il “regime” vero interno a ciascuno, ossia la piattezza esistenziale. Il suo sguardo spogliava ridendo del totalitarismo burocratico del socialismo realizzato, e successivamente il consumismo immemore del capitalismo senz’anima. E in entrambi i casi il suo amaro sorriso riesce in una specie di miracolo lirico: una forza scettica, paradossale, che destruttura il senso comune, a mostrare l’assurdo cuore del conformismo, ma che contemporaneamente trasmette un inebriante desiderio di tolleranza, di fratellanza con tutti. Dovlatov chiamava questo “il sorriso della ragione”.
La struttura
I Taccuini comprendono due parti: Solo per Underwood (1967 – 1978) e Solo per IBM (New York 1979 -1990). Sono miniature e frammenti in cui si fondono il racconto breve, l’aforisma, l’aneddoto, la parodia per ritrarre i personaggi che popolavano le giornate dell’autore e la storia del suo paese. Assieme formano l’affresco di una stagione culturale, per diversi motivi esemplare, tra l’URSS al tramonto e l’esilio. Ma ben oltre il tempo e lo spazio in cui si collocano, resta il tipico aroma delle cose scritte da questo autentico erede della tradizione classica russa: la divertita e un po’ malinconica saggezza dello scettico.
L’autore
Sergej Dovlatov (1941 – 1990), nato da una famiglia di gente di spettacolo, dopo una giovinezza sregolata si dedicò al giornalismo, lavorando per giornali dai quali veniva regolarmente licenziato per indisciplina politica. Nel 1978 emigrò negli Stati Uniti, dove furono pubblicati i suoi racconti e romanzi, commedie autobiografiche pervase di umorismo instancabile e classicamente russo. Di Dovlatov, questa casa editrice ha pubblicato Straniera (1991, 1999), La valigia (1999), Compromesso (1996, 2000), Noialtri (2000), Regime speciale (2002), Il Parco di Puskin (2004), La marcia dei solitari (2006), Il libro invisibile (2007), Il giornale invisibile (2009) e La filiale(2010).