TEMPESTA IN GIUGNO di Iréne Némirovsky

Questa settimana ci dedichiamo alla recensione di Tempesta in giugno. Si tratta del primo di cinque volumi a cui l’autrice, Iréne Némirovsky lavorava quando è stata arrestata e poi deportata nel 1942. Attraverso i ricordi ci si addentra nella vita di tanti personaggi, tante storie, osservate e raccontate in modo limpido e senza retorica.

La storia inizia a Parigi nel giugno del 1940 e racconta di persone diverse, persone borghesi, madri di famiglia, prostitute d’alto bordo, uomini vanesi e umanità di ogni tipo.

La trama

“Tempesta in giugno” racconta della famiglia Péricard che, con tanto di gatto Léonard al seguito, fugge da Parigi, rallentata dai capricci del più vecchio Péricard, di Jeanne e Maurice Michaud, che sono costretti ad incamminarsi a piedi verso Tour cercando il figlio Jeanne-Marié. Ad un certo punto lo incroceranno, ferito, ma senza vederlo perché nascosto da un cassone sull’autocarro che lo trasporta.

Il libro, che inizia elencando i vari protagonisti, racconta queste e altre storie, le quali a volte si intersecano per caso. Un libro coinvolgente e drammatico, ma altrettanto vero.

L’autrice

Iréne Némirovsky nasce a Kiev nel 1903 e muore ad Auschwitz nel 1942. Scrittrice francese di origine ebraica, è dunque una vittima dell’Olocausto. Nata in Ucraina, di religione ebraica, convertitasi poi al cattolicesimo nel 1939 ha vissuto e lavorato in Francia. Deportata ad Auschwitz morì di tifo nel 1942.

Incipit

PRELUDIOTempesta in giugno di Iréne Némirovsky - copertina a colori

Al primo soffio delle sirene le luci di Parigi, rare e timorose, oscurate di blu, vacillavano e si spegnevano come candele al vento. Quelli a cui il tepore della notte primaverile impediva di dormire, gli infelici e gli ammalati, le ragazze che avevano visto partire il fidanzato, le madri che riposavano nel buio gli occhi irritati dalla lacrime e i cuori in pena, sentivano un ansito profondo sollevarsi all’orizzonte, poi una sorta di gemito simile a sospiro che esce da un petto oppresso. Dopodiché il cielo si riempiva di clamori. Alcuni sognavano il mare che spinge davanti a sé i ciottoli e le onde. Altri la tempesta di marzo che scuote la foresta, o una mandria di buoi che galoppa pesante facendo tremare il suolo con gli zoccoli. Ma il sogno finiva. Qualcuno, aprendo gli occhi a fatica, chiedeva:

E’ l’allarme?”

Non me ne importa. Me ne resto a letto, non ho paura. Mica bombarderanno proprio qui” dicevano le donne.

Basta una volta e siamo fritti” rispondevano lre più vecchie mentre si nascondevano nel petto i documenti di famiglia.