Considerazioni personali su “Figli, figlie” di Ivana Bodrožić
“Figli, figlie” di Ivana Bodrožić è stata una lettura molto intensa e allo stesso tempo dolorosa per i temi che affronta e per i fatti che accadono ai protagonisti. Meriti all’autrice, che con uno stile tutto suo e una forza emotiva, ha scritto una storia emozionante e molto coinvolgente per i lettori. Ivana Bodrožić, a mio parere, è una scrittrice da seguire.
Le frasi che mi sono piaciute
“La salvezza è nella conoscenza”
“Ci isoliamo da tutto quello che non è la nostra realtà”
“Sotto una superficie serena c’è il buio profondo.”
Trama de “Figli, figlie” di Ivana Bodrožić
Una madre, una figlia, la sua compagna. Tre donne, ma una non può e non vuole esserlo. Tre punti di vista, inattesi, radicali. Lucija, la figlia, è costretta da un incidente a vivere segregata nel proprio corpo e immersa nel proprio pensiero. Nell’inerzia assoluta delle membra ma nella mobilità dello sguardo e della sensibilità prende atto di cosa significhi essere prigionieri di se stessi e degli altri, subire la volontà e i desideri altrui. Attorno a lei si muovono sua madre e Dorian, che dopo Lucija prendono la parola per raccontare la propria storia. Dorian quando incontra Lucija è ancora Dora, una donna con dentro un uomo, poi ha scelto di iniziare la transizione della propria identità; da quando ha l’aspetto di un uomo tutto è cambiato nella sua vita, “basta alzare la mano, richiamare l’attenzione perché si venga presi sul serio, pagati di più, perché non si venga derisi, sfruttati, non si diventi oggetto di battute”. Dorian comprende e ama Lucija ma non è mai stato accettato dalla madre di lei, perché per questa donna la reazione naturale nei confronti del diverso è reprimerlo, ripudiarlo e punirlo. Eppure soffre a sua volta, succube da sempre della dittatura dell’altro: del padre, del marito, della suocera, della società. E’ una madre con due figli, Tomislav e Lucija, un maschio e una femmina: non li uccide come Medea, ma li divora per amore. Quando sarà lei a raccontarsi restituirà uno straordinario resoconto della propria vita segnata da ruoli e doveri, silenzio e dolore.
Il prologo
Parte prima
I.
Povera mamma. Potessi farmi prendere in braccio e raccontarle tutto… Ora però non è più possibile. I miei occhi per la maggior parte della giornata sono inchiodati al soffitto. E’ spazioso, pieno di dislivelli. Di mattina, spinta dalla luce del sole, l’ombra si ritira come un sipario sul palcoscenico per lasciare spazio a un’altra giornata infinita. Intorno a mezzogiorno, poco prima che il sole inizi ad ardere, il soffitto diventa duro e impenetrabile. Dagli angoli degli occhi inizia a colarmi qualcosa di caldo, i medici dicono che non sono lacrime, bensì un liquido corporeo che bagna la cornea. Mi tocca socchiudere un po’ le palpebre, perché comincia a spargersi nei miei occhi, a scavare buchi nelle iridi, impedendomi di guardare. A volte mi addormento. I cicli di veglia e sonno sono regolari. Non appena torno in me, anche se so che nel frattempo nulla è cambiato, con lo sguardo secco divoro metro quadro dopo metro quadro. Parto dal capezzale e proseguo adagio verso la parte opposta fin dove mi è possibile. A volte c’è una mosca grassa vivace e rumorosa, le ali svelte di seta, le zampette carezzevoli e appiccicose. Capovolta, guarda mille me. Il mio corpo è immobile, e allora ho paura che possa scambiare tutta quell’immobilità per un corpo marcio, il cibo preferito delle mosche persino in presenza di altro. Inizierà a tastare la pelle sottile degli avambracci, e ciò che non riuscirà a mordere lo scioglierà con la sua potente saliva. Una volta mentre stavo correndo lungo la strada sul ciglio del bosco, ho visto il cadavere dissolto di un gatto…
L’autrice
Ivana Bodrožić è nata a Vukovar nel 1982 dove ha vissuto fino all’inizio della guerra nel 1991 e quando è stata sfollata con la madre e il fratello in un albergo a Kumrovec. Laureata nella facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Zagabria, ha pubblicato diverse raccolta di poesia tradotte in molte riviste letterarie internazionali. Hotel Tito (Sellerio, 2019) è stato tradotto in dodici paesi e ha vinto numerosi premi tra cui il Premio Kiklop 2010 come miglior romanzo e il Prix Ulysse 2013 come migliore opera prima.