Considerazioni personali su Due vite di Emanuele Trevi
Sono così intime e precise queste pagine scritte da Emanuele Trevi… Una profonda storia d’amicizia quella tra Rocco Carbone e Pia Pera. Sono uniti fino all’ultimo da un legame trasparente e felice. E a fare da cornice a questa storia c’è una scrittura delicata, che rende la lettura piacevole fino all’ultima pagina!
Le frasi che mi sono piaciute
“…nel quale il futuro gli appariva come l’irrimediabile ripetizione di un presente, insopportabile.”
“Tutto ciò che è incantevole produce una specie di perpetuo scintillio, e le persone incantevoli spesso si consumano e infine si dissolvono nel loro sciame vorticante di minuscole luci.”
“Quella che mi si fa incontro, è un’immagine della totalità della vita, un’immagine che racchiude in sé ciò che è possibile e ciò che non si può sapere, il giorno e quella parte della notte che, come nelle sonate di Chopin, non diventa mai la luce dell’alba, non passa, permane.”
“Semmai la capacità più auspicabile è quella di arrendersi a se stessi, perché una parte consistente del dolore che si prova dipende dalla volontà di rimediare all’irrimediabile e dunque di avvelenare quello che è con quello che potrebbe essere.”
Trama di Due vite di Emanuele Trevi
“L’unica cosa importante in questo tipo di ritratti scritti è cercare la distanza giusta, che è lo stile dell’unicità”. Così scrive Emanuele Trevi in un brano di questo libro che, all’apparenza, si presenta come il racconto di due vite, quella di Rocco Carbone e Pia Pera, scrittori scomparsi qualche tempo fa e legati, durante la loro breve esistenza, da profonda amicizia. Trevi non delinea le differenti nature: incline e infliggere colpi quella di Rocco Carbone per le Furie che lo braccavano senza tregua; incline a riceverli quella di Pia Pera, per la sua anima prensile e sensibile, così propensa alle illusioni. Ne ridisegna i tratti: la fisionomia spigolosa, i lineamenti marcati del primo; l’aspetto da incantevole signorina inglese della seconda, così seducente da non suggerire alcun rimpianto per la bellezza che le mancava. Ne mostra anche le differenti condotte: l’ossessione della semplificazione di Rocco Carbone, impigliato nel groviglio di segni generato dalle sue Furie; la timida sfrontatezza di Pia Pera che, negli anni della malattia, si muta in coraggio e pulizia interiore. Tuttavia, la distanza giusta, lo stile dell’unicità di questo libro non stanno nell’impossibile tentativo di restituire esistenze che gli anni trasformano in muri scrostati del tempo e della intemperie. Stanno attorno a uno di quegli eventi ineffabile attorno a cui ruota la letteratura: l’amicizia.
Nutrendo ossessioni diverse e inconciliabili, Rocco Carbone e Pia Pera appaiono, in queste pagine, come uniti da un legame fino all’ultimo trasparente e felice, quel legame che accade quando “Eros, quell’ozioso infame, non ci mette lo zampino”.
Il prologo
Era una di quelle persone destinate ad assomigliare, sempre di più con l’andare del tempo, al proprio nome. Fenomeno inspiegabile, ma non così raro. Rocco Carbone suona, in effetti, come una perizia geologica. E molti lati del suo carattere per niente facile suggerivano un’ostinazione, una rigidità da regno minerale. A patto di ricordare, con i vecchi alchimisti, che non esiste in natura nulla di più psichico delle pietre e dei metalli. Rafforzavano di sicuro questa impressione la fisionomia spigolosa, i lineamenti marcati. Folta e compatta, la massa inamovibile dei capelli si sarebbe detta modellata e dipinta sulla testa come quella delle marionette. In venticinque anni che l’ho frequentato, sui quarantasei della sua vita, mi sembra che sia rimasto sostanzialmente uguale, come se l’esperienza – questa spietata e sbadata matrigna – non avesse lasciato tracce visibili su di lui. Forte di braccia, gran camminatore, da ragazzino è stato cintura nera di Judo. Amava fare questa nobilissima arte, certe estemporanee e pericolose dimostrazioni. Ed era davvero impossibile spostarlo, se piantava i piedi a terra come aveva imparato in quei lontani allenamenti sul tatami. Solo gli ultimi anni, il litio che prendeva lo aveva appesantito, ma senza mai fargli perdere del tutto quel suo aspetto tosto, agonistico…
L’autore
Emauele Trevi è nato a Roma nel 1964. Collabora al Corriere della Sera. Tra le sue opere: I cani del nulla (Einaudi, 2003), Senza verso. Un’estate a Roma (Laterza, 2004), Il libro della gioia perpetua (Rizzoli, 2010), Qualcosa di scritto (Ponte delle Grazie, 2012), Il popolo di legno (Einaudi, 2015) e Sogni e favole (Ponte delle Grazie, 2019).